Nasce a Tolentino il 25 giugno del 1974. Sin dalla prima infanzia è avviato allo studio dell’arte per mezzo del padre, col quale si trova a visitare innumerevoli mostre e musei. Gli sarà sempre caro il ricordo della mostra a Palazzo Pitti, soprattutto “La sposa del vento” di Kokoshka e le opere astratte di Kandinskij; il ricordo di quell’emozione l’avrebbe seguito nel tempo. Le mura di casa gli stanno strette e la sua indole ribelle, forse allora di una ribellione troppo acerba, l’avrebbe portato ad avere dei contrasti in famiglia con conseguenti fughe. L’unica figura che incarna una certa auctoritas è quella del nonno materno, Aiace Casadidio, forse per la bontà nascosta dietro la sua irremovibile austerità: le gite al mare ascoltando canzoni nella 126: Battiato, Faber e Branduardi risuonano ancora nella sua mente. La scuola, da sempre e per sempre, sarà un carcere da cui evadere e l’escapismo prenderà forma nel gioco del calcio, diventando esso stesso poesia per il giovane ribelle. Ma questa passione non durerà a lungo per motivi di salute, all’età di 8 anni scoprirà di avere un soffio cardiaco e un principio di reumatismo nel sangue e si troverà a dover abbandonare il calcio. Adolescente abbandonerà gli studi per intraprendere una possibile carriera lavorativa, ma a causa della sua indole focosa è costretto costantemente a cambiare mestiere. I dissidi con la famiglia continuano ininterrotti, così come le fughe da casa. Intraprende una duratura e tormentata storia amorosa che durerà per quasi un decennio, la cui fine lascerà un segno e farà da impulso per la sua creazione artistica. Ma già dai primi passi è consapevole che per suonare uno strumento come si vuole bisogna prima impararne le basi; comincia a divorare libri nella febbricitante ricerca del sapere; sarà utile la vasta raccolta del padre: saggi, poetica, narrativa sono l’axis mundi della sua pittura. Nelle pennellate di Fosco Sileoni si vedono influenze astratte, dal gesto incisivo e frenetico; la gestualità, che di per sé assume valore artistico, vede la realizzazione in una esecuzione barbarica, quasi inconscia, che prende forma in un figurativo Iperespressionista dove tutti gli elementi di costruzione artistica prendono sede, anche nella loro assenza, in un turbine di parole, collages, smalti, acrilici, oli, pastelli e graffiature. Figure antropomorfe, inquietanti e ferine, si rivelano ai nostri occhi da un caos di colori, con volti “contorti e distorti” che gridano dinnanzi all’orrore del mondo. Eppure anche nell’opera più oscura vi si trova uno spiraglio di luce.